Nascosti tra i boschi di olivi è possibile identificare splendidi esemplari di carrubi, piante dal tronco possente e nodoso, con grandi chiome sempreverdi, che crescono quasi spontaneamente in modo “biologico”, senza bisogno di trattamenti di alcun genere per il mantenimento.
Il carrubo ha un’origine antichissima, che si evince già dal suo nome di chiara derivazione araba, kharrub: si narra che siano stati gli antichi Greci a portarlo in Puglia, o addirittura, prima ancora, i Fenici. È una specie da sempre associata – nel bacino Mediterraneo – all’olivo, al quale può essere paragonato in termini di longevità, portamento e presenza paesaggistica.
In Puglia, la varietà autoctona del carrubo principalmente coltivata è la ‘Amele’: si tratta di una specie fortemente minacciata di abbandono e di erosione genetica, anche a causa del costante declino della biodiversità vegetale e la conseguente diminuzione sia di specie (biodiversità naturale) che di cultivar (biodiversità agricola).
Il suo frutto, la carruba, è un alimento molto calorico ed energetico, ricco di antiossidanti, per secoli un nutrimento importantissimo grazie alla farina ricavata dai suoi semi, così duri da essere utilizzati in passato come unità di misura per l’oro, prendendo il nome di carati, dal greco kerátion.